Quanto costa realmente riscaldare uno stabilimento industriale?
E soprattutto: quanto di quel calore viene effettivamente utilizzato? Sono domande che ogni responsabile energetico si pone, soprattutto in un contesto in cui l’industria italiana rappresenta oltre il 37% dei consumi energetici nazionali. Un dato che non rappresenta solo una sfida, ma anche un’enorme opportunità.
Infatti secondo l’Energy Efficiency Report 2025 del Politecnico di Milano, proprio il settore industriale detiene il maggiore potenziale di risparmio energetico del Paese. E la climatizzazione degli ambienti produttivi rappresenta una quota significativa di questo potenziale.
Mentre nelle abitazioni parliamo di volumi contenuti e altezze standard, negli stabilimenti industriali ci troviamo di fronte a spazi dove il calore tende a stratificarsi, a disperdersi attraverso strutture metalliche o quando si apre un portone.
Il risultato è un circolo vizioso: si aumenta la potenza dell’impianto, i consumi salgono, ma il comfort a livello del pavimento, dove lavorano gli operatori, rimane inadeguato.
Le cifre parlano chiaro. In molti stabilimenti dotati di sistemi tradizionali ad aria calda, la differenza di temperatura tra il pavimento e il soffitto può raggiungere i 15°C. Tradotto, mentre a 12 metri d’altezza l’aria è a 28°C, gli operatori lavorano in un ambiente che fatica a superare i 13°C.
Per compensare questo squilibrio, si tende a sovradimensionare l’impianto, spingendolo a lavorare a potenze elevate con sprechi che possono arrivare fino al 40% dell’energia consumata. Per fare un paragone figurativo è come cercare di riempire una vasca bucata aumentando continuamente il flusso d’acqua, invece di chiudere i fori.
Gli stabilimenti italiani disperdono fino al 40% del calore prodotto
Le tre trappole della climatizzazione industriale tradizionale
La prima trappola è fisica e si chiama stratificazione termica. L’aria calda è più leggera di quella fredda, quindi sale naturalmente verso l’alto. In un capannone con altezze importanti, questo fenomeno crea una zona calda inutile nella parte superiore dell’edificio, mentre la zona operativa rimane fredda. I sistemi ad aria calda tradizionali combattono contro questa legge fisica, cercando di soffiare l’aria calda verso il basso attraverso ventilatori, con risultati spesso insoddisfacenti e consumi elevati.
La seconda trappola è strutturale. Gli edifici industriali, specialmente quelli più vecchi, presentano caratteristiche che amplificano le dispersioni: strutture metalliche che fungono da ponti termici, ampie superfici vetrate necessarie per l’illuminazione naturale, portoni di grandi dimensioni che si aprono frequentemente per il carico e scarico merci. Ogni apertura è una fuga di calore che l’impianto deve compensare, lavorando quasi sempre a pieno regime senza mai raggiungere un regime stazionario efficiente.
La terza trappola è gestionale. Gli impianti tradizionali tendono a funzionare in modo indifferenziato su tutto lo stabilimento, riscaldando uniformemente anche le aree poco utilizzate o non presidiate. Un magazzino automatizzato, una zona di transito occasionale, un’area di stoccaggio temporaneo ricevono lo stesso trattamento termico della linea di assemblaggio dove gli operatori lavorano per ore. Questa mancanza di granularità nella gestione del calore si traduce in sprechi continui che, sommati nel corso dell’anno, pesano significativamente sul bilancio energetico aziendale.
La mancanza di granularità nella gestione del calore si traduce in sprechi continui che, sommati nel corso dell’anno, pesano significativamente sul bilancio energetico aziendale.
Quando l’aria calda diventa il problema, non la soluzione
Per comprendere i limiti dei sistemi ad aria calda occorre guardare al principio fisico su cui si basano: la convezione. L’aria viene riscaldata da un generatore e immessa nell’ambiente attraverso bocchette o diffusori, con l’obiettivo di miscelare aria calda e aria fredda fino a raggiungere una temperatura uniforme. In teoria funziona. In pratica, negli ambienti industriali con grandi volumi e altezze importanti, il processo diventa estremamente inefficiente.
STRATIFICAZIONE
L’aria calda immessa tende immediatamente a salire, stratificandosi sotto il soffitto. Per contrastare questo fenomeno servono apparecchiature specifiche che portino l’aria calda verso il basso creando però altri problemi: correnti d’aria fastidiose per chi lavora, sollevamento di polveri, rumore costante dei ventilatori, disuniformità termica con zone in corrente e zone stagnanti. Gli operatori vicini alle bocchette di mandata si lamentano del caldo eccessivo e delle correnti, mentre chi lavora lontano dalle mandate sente freddo. Il facility manager si trova così a gestire un sistema che consuma molto ma soddisfa poco.
INERZIA TERMICA
C’è poi il tema dell’inerzia termica. Un sistema ad aria calda impiega tempo per portare a regime un grande volume d’aria, specialmente dopo una pausa notturna o un fine settimana. Al mattino, quando gli operatori arrivano, l’ambiente è ancora freddo e servirà diverso tempo per raggiungere condizioni accettabili. Questo costringe ad anticipare l’accensione dell’impianto, consumando energia per riscaldare uno stabilimento vuoto.
L’alternativa sarebbe lasciare l’impianto acceso 24 ore su 24 in modalità ridotta, ma anche questo comporta sprechi significativi.
MANUTENZIONE
La manutenzione rappresenta un ulteriore capitolo critico. I sistemi ad aria richiedono pulizia periodica dei filtri, controllo delle canalizzazioni, verifica delle bocchette, manutenzione dei ventilatori. Ogni componente del sistema di distribuzione dell’aria è un potenziale punto di perdita di efficienza. Col tempo, filtri intasati, canalizzazioni sporche e ventilatori usurati riducono progressivamente le prestazioni dell’impianto, aumentando i consumi senza che ci si accorga del degrado progressivo.
Il principio dell’irraggiamento che imita la natura
Quando ci esponiamo al sole in una giornata fredda, proviamo una sensazione di calore anche se l’aria circostante è fresca. Il sole non riscalda prima l’aria e poi noi attraverso l’aria, ma trasferisce energia direttamente al nostro corpo attraverso radiazione elettromagnetica nella banda dell’infrarosso. È un trasferimento di calore diretto, senza intermediari, senza dispersioni nell’aria circostante.
Applicare il principio dell’irraggiamento alla climatizzazione industriale significa ribaltare completamente la logica tradizionale. Invece di riscaldare l’aria sperando che questa trasmetta calore alle persone e alle superfici, si riscaldano direttamente le persone, le superfici di lavoro, il pavimento, attraverso radiazione infrarossa. L’aria rimane a una temperatura inferiore rispetto ai sistemi convettivi, ma la sensazione di comfort è comunque garantita perché il corpo riceve calore per irraggiamento.
I vantaggi di questo approccio diventano evidenti negli ambienti industriali. La stratificazione termica viene drasticamente ridotta perché il calore non viene immesso sotto forma di aria calda che tende a salire, ma viene trasmesso dall’alto verso il basso per irraggiamento, proprio come fa il sole. Le superfici ricevono energia e si riscaldano, diventando esse stesse fonti secondarie di calore che contribuiscono al comfort generale. Il pavimento, riscaldato per irraggiamento, mantiene una temperatura gradevole che si percepisce immediatamente camminando nell’ambiente.
L’assenza di movimento d’aria forzato elimina i problemi delle correnti, del sollevamento di polveri, del rumore dei ventilatori. Il microclima che si crea è più naturale, più stabile, più confortevole. Gli operatori percepiscono un calore uniforme e avvolgente, simile a quello che si prova in una giornata di sole primaverile, senza le fastidiose disuniformità tipiche degli impianti ad aria. Questa qualità del comfort ha impatti misurabili sulla produttività, sulla concentrazione, sul benessere generale del personale.
La stratificazione termica viene drasticamente ridotta perché il calore non viene immesso sotto forma di aria calda che tende a salire, ma viene trasmesso dall’alto verso il basso per irraggiamento, proprio come fa il sole.
Zonizzazione termica: l’intelligenza applicata al calore
Ma il vero salto di qualità avviene quando il principio dell’irraggiamento viene combinato con una gestione intelligente delle zone termiche. Gli stabilimenti industriali moderni sono ambienti complessi dove convivono attività diverse con esigenze termiche differenti. Una linea di assemblaggio manuale dove gli operatori rimangono fermi per ore richiede temperature più elevate rispetto a un’area di transito. Un’area dedita a magazzino dove il personale entra solo occasionalmente, può mantenere temperature più basse. Le zone di carico e scarico, con aperture frequenti dei portoni, necessitano di strategie di riscaldamento diverse dalle aree produttive chiuse.
La zonizzazione termica risponde a questa complessità suddividendo lo stabilimento in aree climatiche autonome, ciascuna con il proprio setpoint, i propri orari di funzionamento, la propria logica di controllo. Non si tratta più di un unico termostato che decide la temperatura dell’intero capannone, ma di un sistema distribuito che adatta il microclima alle esigenze specifiche di ogni zona. Questa granularità di controllo è resa possibile dalla modularità dei sistemi radianti moderni, che possono essere configurati e controllati elemento per elemento.
La zonizzazione termica risponde alle complessità dei layout industriali suddividendo lo stabilimento in aree climatiche autonome, ciascuna con il proprio setpoint, i propri orari di funzionamento e la propria logica di controllo.
Immaginiamo uno stabilimento dove la produzione avviene su tre turni ma con aree che vengono utilizzate in modo diverso. Durante il turno di notte, solo due linee su cinque sono attive. Con un sistema zonizzato, le tre linee ferme possono essere portate in modalità antigelo o spente completamente, concentrando il riscaldamento solo dove serve. Al cambio turno, l’accensione può essere programmata con precisione per garantire il comfort al momento giusto, senza anticipi inutili. Durante i weekend, l’intero stabilimento può funzionare in modalità minima, con riaccensioni intelligenti basate sui calendari produttivi. Questa logica di gestione si traduce in risparmi che possono raggiungere il 40% rispetto ai sistemi tradizionali.
Il percorso verso l’efficienza: da problema a opportunità
La climatizzazione industriale è arrivata a un punto di svolta. Continuare con logiche tradizionali significa accettare sprechi che pesano sempre di più sul bilancio aziendale e sull’impronta ambientale. L’alternativa esiste ed è tecnicamente matura: sistemi radianti modulari con zonizzazione intelligente che ribaltano completamente l’approccio al riscaldamento industriale. Non più aria calda che si disperde verso l’alto, ma calore diretto dove serve. Non più gestione indifferenziata, ma controllo granulare zona per zona. Non più sprechi strutturali, ma efficienza misurabile e ottimizzabile.
Il passaggio da sistemi convettivi a sistemi radianti con gestione intelligente rappresenta un investimento che si ripaga attraverso i risparmi energetici, il miglioramento del comfort, la riduzione della manutenzione. Ma soprattutto posiziona l’azienda su una traiettoria di efficienza e sostenibilità che diventa sempre più importante in un contesto di crescente attenzione ai temi ESG, di incentivi legati alla decarbonizzazione, di richieste sempre più stringenti da parte di clienti e stakeholder.
La domanda allora non è più “perché cambiare”, ma “come implementare concretamente questa trasformazione”. Quali tecnologie scegliere? Come progettare un sistema zonizzato efficace? Come integrare la gestione intelligente con i sistemi esistenti? Come dimensionare correttamente l’impianto per massimizzare l’efficienza?
Nel prossimo articolo approfondiremo come questi principi trovano applicazione concreta in TUB-ONE®, il sistema radiante modulare di Impresind che sta trasformando il modo di climatizzare gli ambienti industriali italiani e come la tecnologia smart si integra con la gestione operativa quotidiana degli stabilimenti.




